Berlinale 74
Avremo tempo e modo di analizzare l’impatto che Gloria!, il primo film da regista di Margherita Vicario, avrà sul pubblico italiano, non solo a livello di ingressi. Quello che è certo è che se ne dovrà parlare perché ci troviamo di fronte a un prodotto assolutamente anomalo nel panorama produttivo nazionale.
La trama: sul finire del 18° secolo nell’Istituto religioso di Sant’Ignazio, guidato dal maestro Perlina (Paolo Rossi), un gruppo di ragazze si esercita di nascosto nello scantinato del palazzo, componendo musica nuova, mai sentita, sotto la guida di Teresa (Galatéa Bellugi), una silenziosa cameriera con un insospettabile talento per il pianoforte, alla quale si oppone, per gelosia, il primo violino Lucia (Carlotta Gamba).

Dialoghi e personaggi sono al servizio di un’idea coraggiosa e molto poco frequentata dal cinema nostrano, ovvero dialogare con la cultura pop e, in particolare, con la musica pop che, nel caso italiano, ha un unico grande contenitore: Sanremo. Vicario cerca una mediazione tra l’alto e il (dito) medio, tra la musica cameristica, la hit struggente e il coro da stadio; gira praticamente in un’unica location arricchendo le immagini di costumi, arredi e movimento già dalla prima sequenza e preferisce interpreti, da Veronica Lucchesi a Elio passando per se stessa (con un cameo à la Hitchcock e un altro, più rivelatore, dove la sua voce si sostituisce a quelle delle interpreti) che rappresentino quella terra di mezzo musicale piuttosto che un corpus di facce e dialoghi filologicamente aderenti alla ricostruzione storica.
Il perché dell’ambientazione viene svelato in coda, a corollario di un’esperienza, più che un racconto, immersiva, quasi anti-cinematografica nel suo misurarsi più con la tradizione del musicarello che del revenge movie; un’esperienza nella musica leggera italiana contemporanea che crea un cortocircuito interno difficilmente difendibile con le armi della film literacy, che infatti prende sempre più la forma di una favola, di un contenitore dove sperimentare soluzioni ucroniche, inverosimili, con il rischio di cadere in quelle ingenuità che forse(?) si devono perdonare a un’opera prima.