In un piccolo paesino di pescatori nel nord della Francia la nascita di un bambino speciale fa scoppiare una guerra totale per il controllo del pianeta tra due fazioni aliene. Gli 0 e gli 1, codice binario, il potere temporale contro quello spirituale, una navicella gotica di Sainte-Chapelle a cui si accede immergendosi nel mare contro una reggia (di Caserta) che si trova solo perdendosi nel bosco, il bene (?) contro il male, con la stupidità degli uomini a fare da cornice.

L’ultimo film di Bruno Dumont (Ma Loute, France) è “uno Star Wars diretto da David Lynch” (nel senso migliore del termine, non come vorrebbero gli esegeti di Letterboxd) che dopo dieci minuti mette lo spettatore nella posizione, scomoda, di credere a un ribaltamento non annunciato, a un coupe de monde, più che di theatre, una messa in scena carnevalesca di istinti primitivi e una messa in sequenza di personaggi ridicoli. Il tutto per raccontare la predominanza brutale degli istinti al di sopra del bene e del male, della distinzione tra umano e alieno, dove i corpi sono più importanti dei discorsi e il sesso più impellente del conflitto.
I Nostri brandiscono spade laser che sembrano trappole per farfalle ma, all’occorrenza, sono in grado di decapitare in un sol colpo, senza troppo pensarci, perché la guerra è un meccanismo stupido, violento, a maggior ragione se attizzato dal fanatismo religioso (vero protagonista di questa Berlinale) e ciò che resta, alla fine dello scontro, è un buco nero che tutto inghiotte, una bolla di sapone cosmico che continuerà a riformarsi, all’infinito, da qualche parte nel cosmo.
Dumont ribadisce la necessità di un’idea forte di cinema, dell’importanza della rappresentazione, in questo anti-blockbuster d’autore che passa dalla slapstick ai b-movies, che non assomiglia a niente, ma rielabora tanta Storia delle immagini, tenendo sempre al centro (ohibò) lo spettatore e il suo intrattenimento, quasi suggerendo che oggi in pochi se ne stiano occupando a dovere.