Ho paura che “le piattaforme stanno distruggendo il cinema in sala” diventi un adagio per giustificare inefficienze e incompetenze dell’industria cinematografica italiana.
Ho paura che i film italiani non riescano a staccarsi dal cordone ombelicale dello Stato, ignorando il mercato e difendendo l’eccezione culturale che li vuole, per sta(tu)to, in perdita.
Ho sempre paura che il film abbia una bella fotografia.
Ho paura che i distributori non abbiano capito che il mondo è cambiato.
Ho paura che il cinema europeo a 3,50€, nell’estate in cui usciranno solo attesissimi blockbuster americani, sia una mossa che non ho bisogno di spiegarvi.
Non ho paura di Beau ha paura e nemmeno di Everything, Everywhere, all at once perché andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia.
Ho paura che, nel 2024, 3 film su 5 dureranno più di 140 minuti.
Ho paura della critica polarizzata, ma non di quella militante.
Ho paura che la sequenza di Babylon in cui un personaggio si spara in bagno sia pornografia, ma non cinema.
Ho paura di dire che non ho mai visto Il Gattopardo.
Ho paura che lo spettacolo delle 22.30 nelle sale cittadine sia perduto per sempre.
Ho paura degli spettatori che raccontano in diretta cosa stanno vedendo.
Ho paura che questa lista non finirà mai.
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