HomeCinemaDelicatessen #4 - Facciamo film per vendere musica

Delicatessen #4 – Facciamo film per vendere musica

In principio fu facciamo film per vendere popcorn poi, con Amazon, i popcorn sono stati soppiantati dalle scarpe – sineddoche che ingloba tutto il vendibile online – e ora tocca alla musica, o meglio, ai cataloghi delle major musicali.

Non sto chiamando in causa la nicchia di fanatici (di cui faccio orgogliosamente parte) che ancora vuole sentire il brivido di sbustare un cd o percepire il bordo del vinile che preme sui polpastrelli, ma di tutte le modalità che portano veramente guadagni al mercato discografico: su tutti, gli streaming a pagamento.

A farla da padrone, manco a dirlo, sono le gigantesche conglomerate multimediali, Disney in testa, che mentre anno dopo anno assestano il tiro alla ricerca della formula perfetta di uscita dei film (in anteprima in sala, in sala e in piattaforma, solo in piattaforma, nei Burger King e dopo un anno sulla HBO, in esclusiva solo a casa tua per 30 giorni), sul lato musicale stanno agendo in perfetta sincronia per riportare a galla, e vendere, le hit che hanno fatto la storia degli anni ’80 e ’90.

L’azione è talmente precisa che, a distanza di pochi mesi, in due recenti blockbuster come Guardiani della galassia Vol. 3 e Super Mario Bros. sono risuonate le note di No sleep till Brooklyn dei Beastie Boys, nel secondo caso per di più in mezzo ad altre decine di grandi successi come Holding Out For A Hero di Bonnie Tyler, Take On Me degli a-ha e Mr. Blue Sky degli Electric Light Orchestra, distribuiti a piene mani dentro un film che avrebbe potuto benissimo fare a meno di cotanta grazia.

Forse sono stati proprio gli awesome mix dei Guardiani a guardare oltre la retromania tarantiniana, che nasceva come componente inscindibile dalle immagini oltre che come sfogo melomaniaco, intuendo che la coolness di alcune soluzioni audio-visive poteva staccarsi dal continuum delle immagini e diventare a sua volta prodotto.

Per chi? Per tutti quelli che girano con le magliette degli Iron Maiden senza sapere chi sia Eddie, che ascoltano i Greta Van Fleet senza aver mai sentito una nota (e perché avrebbero dovuto?) dei Led Zeppelin o degli AC/DC e per tutti quelli che “ah ma è la canzone delle Campagnole Mulino Bianco!” riferendosi a Let me live dei Queen.

Come per il cinema, anche nella musica c’è un intero mercato già pronto che non aspetta altro di ritornare, ma siccome fenomeni come i Måneskin o i succitati GVF non sono in grado di riaprire veramente la questione rock, al di là del glamour, ecco che le sale si riempiono già dai trailer (ed è forse questa la novità più importante) delle note dei guitar heroes (Sweet Child O’ Mine in Thor: Love & Thunder), dei concept immortali (Time dei Pink Floyd come basso continuo di The Flash) o dei mostri sacri e immarcescibili (Sympathy for the Devil scelto per Indiana Jones e il quadrante del destino).

Il tutto spesso rallentato, stirato, distorto, acustico (è il caso della versione di Creep mugugnata da Rocket Raccoon), ma estremamente preciso nel riattivare quei codici a favore di un nuovo pubblico da coltivare. Che sicuramente è lo stesso pubblico che non conosce la cornice che accompagna lo Spider-Man punk del secondo, straordinario, capitolo della trilogia dello Spider-Verse, ma ne rimane rapito e forse, qualche giorno dopo, si scarica questo Never Mind the Bollocks che pare sia stato un successo nel paleolitico inferiore.

Una strategia che può aver contribuito alla crescita del mercato musicale registrata negli ultimi otto anni (nel 2022 quantificato in 26,2 miliardi di dollari), e che mi piace pensare sia la stessa che sta guidando le produzioni coreane, dopo Parasite, alla scoperta della musica leggera italiana.

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