Gli italiani sono un po’ tardi, non capiscono le cose al volo, vanno educati, soprattutto quando si tratta di film. Deve essere questa la preoccupazione primaria degli addetti alla comunicazione dell’industria cinematografica ogniqualvolta si parli di distribuire un nuovo film nelle sale. Come potrà lo spettatore capire che un film può essere interessante? Sarà sufficiente conoscere il regista, uno o più attori principali, lo sceneggiatore?
Nei casi di brand consolidati, vedi Batman, Star Wars o il Marvel Cinematic Universe, il gioco è presto fatto: chi aspetta l’uscita dei film della saga è molto interessato, di conseguenza non ha bisogno di nessuna informazione che già non sia riuscito a reperire per conto suo, mesi prima. Ma cosa accade quando il lancio riguarda un prodotto come Dirty Grandpa , commedia con protagonisti Zac Efron e Robert De Niro?

Accade che, per esempio, si scelga di sostituire il titolo italiano inizialmente scelto, ovvero Nonno zozzone (traduzione letterale e ammiccante) col molto più blandoNonno scatenato, per non perdere la fetta di mercato di quelli spettatori che si sarebbero vergognati di andare a vedere un film dal titolo disdicevole. Accade inoltre che, di tutte le divertenti locandine prodotte per l’uscita Usa (compresa una parodia de Il laureato, ma tanto chi lo conosce in Italia?) non ne venga presa in considerazione nemmeno una a vantaggio di un poster banalotto, graficamente simile ad un film sulle dance crew come Step Up , sul quale viene aggiunta una didascalia assurda, contraddittoria, illogica, se si è prima letta la trama: “Era pronto per la casa di riposo…Ma poi arrivò suo nonno”.
Si tratta di un caso isolato, non ci sono dubbi, ma la norma, se si vuole, è ancora peggiore. Confrontando i titoli originali con quelli usati per la release italiana, si nota un problema di fondo che riguarda la scarsa fiducia che gli addetti alla comunicazione nutrono nei confronti del pubblico. Il trucco è quasi sempre lo steso: affiancare al titolo inglese un titolo italiano che funge da “bugiardino” o, nel peggiore dei casi, eliminare del tutto il primo e inventarsi un titolo di facile presa, nuovo di zecca.

Ecco che The revenant si trasforma in Revenant – Redivido, Creed vede l’aggiunta di Nato per combattere, The Eichmann Show non basta (d’altronde chi conosce uno dei peggiori gerarchi nazisti?) e così si aggiunge Il processo del secolo e A most violent year diventa, per i nostalgici dei titoli con gli anni, 1981: Indagine a New York. La stessa cosa accade a Spotlight, film presentato a Venezia72 e candidato all’Oscar, ma qualcosa va storto. Pensando che il pubblico non sappia cosa sia Spotlight, ovvero il team investigativo del Boston Globe che ha fatto luce, per primo, sullo scandalo dei preti pedofili dell’arcidiocesi cittadina, i titolisti italiani pensano bene di distribuirlo come Il caso Spotlight. Ci sono due letture di questo titolo e sono entrambe fuorvianti: la prima sposta il ruolo del team da indagatore a indagato, facendo pensare che Spotlight sia il bersaglio dell’indagine; la seconda avallerebbe l’idea, sbagliata, che il team Spotlight sia stato creato appositamente per quel caso.
In pratica, sarebbe come intitolare il documentario Citizenfour, che segue l’esilio volontario di Edward Snowden ad Hong Kong, Il caso The Guardian perché la sua vicenda è stata seguita dal giornalista della testata inglese Ewen MacAskill.
La convinzione che al pubblico servano rinforzi per attivare il desiderio nei confronti di un oggetto culturale porta all’emersione di un bisogno superfluo di cui nessuno sentiva la necessità prima ma del quale, allo stesso tempo, si pensa di non poter più fare a meno. In realtà il pubblico, per quella che è l’esperienza quotidiana nei multiplex come nelle monosala, non si è mai trasformato in un’entità drogata di titoli italiani. Raramente, infatti, gli esercenti si troveranno a staccare due biglietti per “Redivivo” o per “Nato per combattere” dimostrando l’assurdità di una pratica resa ancora più marcata dalle contingenze di un’epoca in cui a crescere, di anno in anno, è il consumo di film e serie in lingua inglese.
Di sicuro non toccheremo più gli apici de L’esperimento del dottor Ktraduzione italiana del primo film su La mosca nel quale non appare alcun dottor K, e di sicuro nessuno riuscirà ad impedire che titoli come The eternal sunshine of the spotless mind si trasformino in Se mi lasci ti cancello, ma continuare a guardare al pubblico come una massa ignorante e ingenua rischia di provocare danni irreparabili nel prossimo futuro.

Per uno spettatore, in particolare giovane, che si emancipa sempre più dal bisogno del doppiaggio a favore di un consumo immediato, a volte in anticipo rispetto all’uscita ufficiale, questo tentativo di “drogare” l’audience apparirà sempre più fuori dal tempo poiché rivolto ad una fascia di età che non rappresenta la fetta di mercato principale.
Michele Galardini