Ricordo nitidamente di aver visto Oldboy assieme a un amico un giovedì qualsiasi nell’allora Vis Pathé (oggi Uci Cinemas): in sala c’erano più maschere che spettatori ma, nonostante questo, il film riuscì ad imporsi al grande pubblico, spinto anche dal paragone col cinema di Tarantino (in quegli anni impegnato nelle riprese di Kill Bill).
Una storia alla Velvet Underground, se non fosse che né io né il mio amico abbiamo poi intrapreso la carriera da regista. Ma tanto basta per convincere i distributori a cavalcare l’onda e portare nel Belpaese Mr. Vendetta senza curarsi della cronologia di quella che verrà poi chiamata “trilogia della vendetta” con l’uscita di Lady Vendetta.
I’m a Cyborg but that’s Ok (2006) esce in sordina, Thirst (2009) non varca mai le Alpi, poi i distributori italiani si svegliano di nuovo, leggono che tra i protagonisti di Stoker (2013) c’è Nicole Kidman e lo comprano.
Park Chan-wook, come un albero che cade in mezzo al nulla, continua a fare rumore nonostante l’assenza di pubblico; continua a fare cinema, continua a fare il regista mentre tutti si fanno chiamare autori. Ogni volta evoca Hitchcock come nume tutelare, poi si piazza dietro la macchina da presa e pensa le sequenze, inventa angoli di ripresa, disegna lo spazio come un veterano della Hollywood classica e, cosa ancora più importante, rispetta lo spettatore. Nella scena sessualmente più esplicita dell’ultimo film, con le due protagoniste strette in un abbraccio passionale e la mdp che le inquadra muovendosi sul soffitto, il regista evita scientemente di inquadrare i loro genitali, lasciando che il loro mistero sia ammantato agli occhi del voyeur e che le immagini parlino anche di quello che non si vede.
The Handmaiden è un thriller sulla voce, sul corpo dell’attore come luogo di dissimulazione dove ogni parola è rubata e i messaggi cambiano significato a seconda del rapporto che l’enunciatore vuole instaurare col destinatario. La protagonista dovrebbe essere la signorina Hideko – il titolo francese Mademoiselle è tradotto letteralmente dall’originale Agassi– ma allora perché nella release internazionale il film diventa The Handmaiden, spostando così l’attenzione sulla ancella Sook-Hee?
Perché a nessun personaggio è dato il lusso di avere un’unica identità: ognuno prende ciò che viene dagli altri e lo ricicla, trasformandolo in un contenuto nuovo di zecca. Le donne vivono due volte, forse tre mentre Park Chan-wook sfida costantemente l’attenzione dello spettatore fino a riportarlo al grado zero della visione: la sala buia, l’intreccio, il colore, la sospensione, l’occhio della macchina da presa.